ARTI E MESTIERI


I MESTIERI A BISANZIO

LO SCULTORE

Gli scultori professionisti lavoravano nei grandi centri imperiali, al servizio delle autorità civili ed ecclesiastiche, e si specializzano in lavori di intaglio come gli avori scolpiti, i dittici, le coperture degli evangelari. Nelle prime opere scultoree che la classificazione degli storici dell’arte attribuisce alla cultura Romana di epoca Bizantina, specialmente i sarcofagi , la tradizione del III secolo è ancora evidente. Lentamente i caratteri fortemente cristiani dell’Impero incidono in maniera sensibile sulle forme artistiche, ispirandosi maggiormente a motivi tipicamente orientali e cominciando a dismettere le caratteristiche dell’arte classica, o meglio dell’arte romana come continuatrice dell’arte Greca. Si allontana dallo stile classico la base dell'obelisco di Teodosio, nell'ippodromo di Costantinopoli (sec. IV), che rappresenta tuttavia la scelta di un immobilismo rappresentativo per i soggetti legati alla rappresentazione del potere Ufficiale, rivelando chiari influssi di natura Persiana. Di qualità eccezionale sono le sculture dell'arco rinvenuto nella chiesa di S. Maria Panachrantos, a Costantinopoli, dove, specialmente all’epoca di Giustiniano, l’arte scultorea orientale mostra una decisa superiorità sulle contemporanee sculture dell’Occidente Romano-Barbarico. La scultura ornamentale è ben conosciuta nelle sue caratteristiche attraverso i bei capitelli del sec. VI, con decorazioni figurate (visibili al Museo archeologico di Istanbul), i pulvini delle chiese di S. Vitale a Ravenna, dei SS. Sergio e Bacco e di S. Sofia a Costantinopoli, e le transenne a traforo, per esempio quella di S. Vitale (sec. VI, Museo di S. Vitale), opere in cui vediamo usati con maestria il bassorilievo, l'intaglio e il traforo. Il nuovo stile decorativo che si diffonde da oriente attraverso gran parte dell’Italia è ben illustrato nei capitelli e nelle sedie scolpite di Ravenna e Venezia.

Anche la scultura ritrattistica romana del VI-VII secolo giunge ad alti vertici di originalità, com’è il caso della testa di (forse) Teodora oggi al Museo del Castello di Milano.

 

IL CERAMISTA-VASAIO

Molti artigiani avevano i loro laboratori nella piazza principale del mercato. La parola ergasterion (laboratorio) indicava il luogo in cui i beni erano sia prodotti che venduti, dal momento che in molti casi gli artigiani erano loro stessi i venditori dei beni che producevano. Questo valeva in particolare per i produttori di ceramica. Durante il regno di Giustiniano vi erano circa 1100 laboratori di produzione che appartenevano alla Chiesa di Santa Sofia.

 I ceramisti si distinguevano a seconda che producessero vasellame di terracotta o di argilla. I loro laboratori erano situati presso i luoghi dove la materia prima per la fabbricazione della ceramica (acqua ed argilla) poteva essere più facilmente reperita, e da dove il prodotto ceramico finito poteva essere più facilmente trasportato, distribuito e venduto. I laboratori dei produttori di vetro erano situati a distanza di altre strutture, a causa dei rischi causati dalle alte temperature che si formavano nei forni e dei conseguenti incidenti.  

Si potevano distinguere numerose tecniche diverse nella esecuzione delle terracotta, che raggiungevano spesso forme molto elaborate e qualità molto pregevole. Tra il IV ed il V secolo le anfore ed i vasellami erano prevalentemente di tipo africano, così come le ceramiche verniciate di rosso: la sigillata africana C ela Derano imitate addirittura in area Romana e in diverse regioni del Mediterraneo. Le forme più comuni erano piatti e scodelle di grandi dimensioni, inizio dell’affermarsi di un nuovo modo più collettivo di imbandire la tavola e mangiare. La sigillata D, a lungo impreziosita dalla decorazione a stampo, e con un campionario di forme continuamente rinnovato, poi ripetuto in modo automatico, accompagna ancora i carichi delle derrate africane fino al VII secolo.

I ritrovamenti ceramici del VI-VII secolo nel territorio italiano, specialmente quelli della Cripta Balbi a Roma e quelli di Crecchio, hanno permesso una buona conoscenza dell’attività dei ceramisti romani del periodo bizantino di questo periodo. Contenitori da trasporto attestano come l’Africa settentrionale ed in particolare l’area della attuale Tunisia fossero al primo posto nella produzione di anfore per l’olio, mentre le produzioni del bacino orientale del Mediterraneo sono documentate dalle anfore vinarie (spathia) provenienti dalla Siria e dalla Palestina, dall’Egeo e dalle aree Calabresi e Sicule.  


IL FABBRO-ARMAIOLO

In senso generale i lavoratori del metallo, fabbri o calderai, producevano ogni tipo di oggetto di metallo, ma vi era anche una intensa specializzazione: alcuni facevano coltelli ( machairopoioi ), altri chiavi ( kleidopoioi ), altri ami da pesca ( agkistrades ) ed altri chiodi o catene.

 Anche gli  ergasteria  dei fabbri e dei lavoratori di metalli erano situati in luoghi lontani dai centri abitati, per i frequenti incidenti che si verificavano nelle fornaci dove erano forgiate le armi e gli attrezzi di ferro. Col passare del tempo, alcuni lavoratori del metallo diedero il loro nome alle aree in cui lavoravano, come è testimoniato da toponimi quali la Chiesa della  Chalkoprateia  (mercato del bronzo) in Costantinopoli, o la  Panaghia   ton Chalkeon  (Vergine degli artigiani del bronzo) in Tessalonica.

 I fabbri che si dedicavano alla produzione di armi realizzavano sia elementi forgiati con attività siderurgica, quali spade, punte di lancia, asce, punte di frecce, sia elementi di bronzo tenero sagomato con battitura a martello, ed eventualmente decorato con impressioni a freddo mediante fustelle. Gli  ergasteria  producevano comunque sia oggetti di uso domestico sia oggetti destinati alla guerra: nei laboratori della Cripta Balbi a Roma sono state trovate sia cerniere, rinforzi angolari, chiusure, mostre di serrature, piccole chiavi sia parti di spada, pugnali da combattimento ed armature fabbricate a lamine sovrapposte in bronzo e ferro, parti di scudo, elmi e  cheiromanika  (guanti d’armi).

 Se il fabbro-guerriero Longobardo era per lo più un artigiano itinerante, nel VII secolo abbiamo ancora la prova archeologica che il fabbro romano di età Bizantina lavorava in atelier ben consolidati e che producevano beni destinati alla diffusione interna ed esterna ai confini dell’Impero.

 

 ILBANCHIERE (ARGENTARIUS)

 I membri delle classi superiori sembrano essersi dedicati talvolta alla attività di prestito monetario, come risulta da testimonianze del quarto secolo, ma la maggior parte di coloro che si dedicavano alla attività di presta valute (argentarii ) avevano una ricchezza che originava dai loro patrimoni fondiari. Grandi fortune tuttavia non venivano raggiunte attraverso tale attività, ad eccezione dei bancari che erano anche coinvolti nella esazione delle tasse, o che erano attaccati a qualche grosso casato nobiliare od alla amministrazione imperiale.

 In Costantinopoli i  Trapezitai  e gli  Argyropratai  ( Argentarii ) erano obbligati a situare i loro laboratori in una ben determinata locazione geografica; i primi sembra nel Foro di Costantino; i secondi lungo l’arteria principale della città, la cosidetta  Mese , che dal Foro arrivava direttamente al Grande Palazzo. Stando al  Chronicon Paschale  l’intero portico degli  Argyropratai , il Palazzo di Simmaco l’ex-console e la Chiesa di Sant’Aquilina vennero bruciati durante la rivolta di Nika nel 529 d.C., ma sicuramente il portico venne ricostruito perché la presenza delle botteghe degli  Argyropratai  lungo la  Mese  è attestata da fonti del X e del XII secolo. 

 In Roma e Ravenna la situazione sembra essere stata più o meno la stessa. La presenza di  Argentarii  è ivi ampiamente attestata. La loro attività si concentrava solitamente nel Foro o nei dintorni dello stesso. Mentre in Ravenna tuttavia gli  Argentarii  prosperavano (basterà pensare al famoso  Julianus , uno dei dedicanti della Chiesa di San Vitale) in Roma la situazione era così pessima che ci volle un appello del Pontefice Gregorio Magno nel 600 d.C. per impedire che l’ultimo banchiere rimasto, un certo Johannes, abbandonasse l’ultima  statio  di cambio rimasta in suo possesso.

 Il principale strumento di lavoro del banchiere e del cambiavalute era la  Trapeza , cioè la tavola, chiamata anche  mensa  o  tabula  in latino.

 

 IL FALEGNAME

 L’attività di falegnami e carpientieri ( tektones ) a Bisanzio era grandemente apprezzata e richiesta, sia dall’autorità secolare che da quella ecclesiastica. Un famoso esempio della metà del VII secolo ci viene dalla vita di San Teodoro di Sykeon, dove il Santo assolda falegnami per la ristrutturazione  del suo Monastero proibendo peraltro loro, in maniera tassativa, di mangiare carne all’interno del Sacro Recinto.

 Un poema dell’inzio del XIV secolo illustra gli strumenti della falegnameria romana-orientale, che sono esattamente quelli che ininterrottamente venivano usati sin dal periodo romano classico: trapano, cesello, ascia, sega e la corda dipinta di rosso con l’utilizzo della argilla ( spartion kokkinon ex ges ostrakon ). Tali attrezzi sono archeologicamente attestati in tutte le province dell’Impero, ed anche sul territorio italico, dal IV al XV secolo d.C.

 Cassette porta-oggetti, astucci di strumenti medici con coperchi scorrevoli, pannelli ecclesiastici, e le sedie-cattedre come quella ritrovata proprio a Crecchio in località Vassarella sono solo alcuni degli esempi sopravvissuti della grande attività di produzione lignea degli artigiani del VI-VII secolo. L’attività di lavorazione del legno si accentrava particolarmente nella produzione di cassette porta-oggetti e mobili, anche se la documentazione archeologica di tali manufatti è alquanto scarsa e limitata data la deperibilità del materiale.

 Si particolare interesse sono le cassette porta-oggetto, ritrovati sul suolo italico, che trovano riscontri con esemplari egizi e della zona del mar Nero. Le cassette presentavano legno spesso scolpito od intarsiato, e probabilmente dipinto. La decorazione si presentava soprattutto nella forma di dadi concentrici, con al centro motivi a losanghe formati da occhi di dado.


 (Testo a cura del Dr. Raffaele D'Amato, Officina della Storia)